Indagini Difensive

Con la riforma del codice di procedura penale del 1988, entrata in vigore l’anno successivo, il Legislatore ha profondamente modificato il processo penale, introducendo il rito cd. accusatorio in luogo del rito cd. inquisitorio. In altre parole, mentre prima del 1988 era il Giudice a raccogliere e vagliare gli elementi probatori per decidere poi circa la colpevolezza o meno di un imputato (con l’unica eccezione data dall’istruzione sommaria condotta dal pubblico ministero), con il rito cd. accusatorio, invece, il Giudice è destinato ad intervenire soltanto in casi eccezionali nella raccolta della prova nella fase delle indagini preliminari, spettando solo e soltanto al pubblico ministero ed al difensore, su basi di assoluta parità, raccogliere elementi di prova da sottoporre alla decisione dell’organo giudicante.

L’art. 2 della legge delega per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale sanciva “la partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento”, nonché la facoltà per i difensori di indicare “elementi di prova e presentare memorie”.

Sulla facoltà, quindi, di svolgere indagini difensive dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice, il consenso era stato generale: nel parere sul progetto definitivo il Consiglio Nazionale Forense sottolineava come la legittimazione a svolgere investigazioni costituisse “estrinsecazione naturale ed essenziale dell’esercizio del diritto alla prova”, diritto alla prova che a sua volta trova le proprie radici nell’art. 24 della nostra Costituzione: il diritto di difesa costituzionalmente previsto diventa, quindi, il diritto di difendersi (anche) “provando”.

Tale rivoluzione processuale, però, ha di fatto sin da subito incontrato forti resistenze e ciò per un triplice ordine di motivi:

da un lato i Magistrati, detentori sin a quel momento dei poteri di ricerca e raccolta della prova, erano naturalmente diffidenti nei confronti degli avvocati che, da quel momento, avrebbero potuto svolgere investigazioni che avessero la stessa valenza processuale di quelle poste in essere dai Pubblici Ministeri;

dall’altro lato gli stessi Avvocati, abituati da decenni ormai a difendersi nei processi cercando di “smontare” le tesi accusatorie, non erano culturalmente pronti ad adottare una metodologia di difesa “attiva” nel procedimento penale che dovesse necessariamente comportare una ricerca delle prove da sottoporre poi al vaglio del Giudice;

dall’altro lato, infine, lo stesso Legislatore non aveva fornito agli operatori i giusti poteri normativi, non avendo inteso introdurre una disciplina specifica di quelle che dovevano essere le “indagini difensive”, avendo il nuovo Codice relegato i poteri del difensore in un semplice e limitato articolo, inserito addirittura nemmeno nel codice di procedura penale, bensì nelle relative norme di attuazione:

L’art. 38 disp. Att. C.p.p., infatti, prevedeva, in maniera alquanto generica, che:

“1. Al fine di esercitare il diritto alla prova previsto dall'articolo 190 del codice, i difensori, anche a mezzo di sostituti e di consulenti tecnici, hanno facoltà di svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e di conferire con le persone che possano dare informazioni.

2. L'attività prevista dal comma 1 può essere svolta, su incarico del difensore, da investigatori privati autorizzati.”

Solamente nel 1995 il Legislatore aveva inteso apportare una modifica a tale norma, introducendo altri due commi , il comma 2 bis ed il comma 2 ter che così recitavano:

“2-bis. Il difensore della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa può presentare direttamente al giudice elementi che egli reputa rilevanti ai fini della decisione da adottare.

2-ter. La documentazione presentata al giudice e` inserita nel fascicolo relativo agli atti di indagine in originale o in copia, se la persona sottoposta alle indagini ne richiede la restituzione.”

Tale – comunque carente - normativa, che di fatto limitava la facoltà degli avvocati di svolgere una difesa “attiva” dei propri assistiti (in quanto lasciava alla libera interpretazione dei legali di come, sul piano pratico, attuare le proprie prerogative difensive), aveva portato ad alcune pronunce della Cassazione fortemente limitative dei nuovi poteri investigativi concessi ai difensori:

“Le  indagini difensive possono essere finalizzate alla sollecitazione dell'attività investigativa del p.m. ovvero alla richiesta di incidente probatorio, mentre è esclusa una loro diretta utilizzabilità per le decisioni del giudice, tale interpretazione è confermata dal tenore letterale dell'art. 38 att. c.p.p. oltre che dalla "ratio" del sistema processuale che, attraverso l'art. 348 c.p.p., attribuisce esclusivamente alla polizia giudiziaria il compito di procedere all'assicurazione delle fonti di prova, e, attraverso l'art. 358 c.p.p., attribuisce esclusivamente al p.m. il compito di compiere ogni attività necessaria ai fini dell'esercizio dell'azione penale e di svolgere accertamenti su fatti o circostanze a favore dell'indagato” (Cass. Pen., Sez. I, 31.01.1994).

Una “apertura” da parte della Giurisprudenza verso le indagini difensive si aveva nell’anno 2000 – a distanza di più di 10 anni dall’introduzione del nuovo codice – con la seguente pronuncia:

“non v'è dubbio che il legislatore del 1995, per la fase delle  indagini preliminari, ha voluto concretamente equiparare i difensori e il pubblico ministero nell'attività di raccolta degli elementi probatori da sottoporre al giudice per le  indagini preliminari o al giudice della udienza preliminare. Anche se - almeno allo stato attuale della legislazione - gli atti assunti dal difensore o dai suoi consulenti non hanno le stesse garanzie degli atti assunti dalla c.d. parte pubblica, posto che ai primi non si applica la disciplina penale che incrimina le false affermazioni (art. 371 bis c.p.) o quella che punisce la falsità materiale (476 c.p.) e la falsità ideologica (479 c.p.), tuttavia anche gli atti investigativi assunti dai difensori delle parti private hanno natura di veri e propri  atti del procedimento, proprio perché sono portati direttamente al vaglio del giudice - senza passare attraverso la mediazione della parte pubblica - e sono direttamente inseriti nel fascicolo delle  indagini” (Cass. Pen., Sez. III, sent. 12291/2000)

Proprio in quell’anno (il 2000) il Legislatore – finalmente – è intervenuto in maniera efficace sulla materia delle indagini difensive, emanando la Legge 397/2000 che, introducendo soprattutto gli articoli 391 bis e seguenti nel codice di procedura penale, ha disciplinato analiticamente la materia delle investigazioni difensive.

In base a tale nuova normativa, è facoltà e diritto dei difensori:

1) convocare presso il proprio Studio possibili testimoni in grado di riferire circostanze utili per il proprio assistito;

2) interrogare tali testimoni, verbalizzando tutte le loro dichiarazioni;

3) richiedere documentazione utile a tutte le pubbliche amministrazioni;

4) accedere a luoghi, anche privati, per eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici o fotografici;

5) nominare consulenti tecnici per espletare accertamenti di qualsivoglia natura;

6) incaricare investigatori privati per la ricerca di elementi probatori utili;

7) in generale, svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito.

Alla luce anche di tale importante normativa, la Giurisprudenza finalmente ha riconosciuto alle indagini difensive la stessa natura e gli stessi effetti processuali delle corrispondenti indagini compiute dal Pubblico Ministero, con la sentenza n. 32009/2006 emessa dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, che ha attribuito la qualifica di “pubblico ufficiale” all’avvocato che intenda raccogliere a verbale le dichiarazioni di un testimone.

Importante, infine, evidenziare due aspetti:

Innanzitutto tale attività difensiva può essere espletata sia a favore di indagati e/o imputati, sia a favore delle persone offese, vittime di illeciti da altri commessi.

In secondo luogo, tale attività può essere posta in essere anche prima della possibile apertura di un procedimento penale, in via preventiva quindi. Ciò è importante per il possibile indagato per raccogliere immediatamente prove utili finalizzate ad evitare, ad esempio, l’applicazione nei suoi confronti di qualsivoglia misura cautelare, producendo all’Autorità gli elementi probatori da tenere obbligatoriamente in considerazione; ma è altrettanto importante per la persona offesa che intenda sporgere una querela o una denuncia, in modo tale da portare all’Autorità Giudiziaria già tutte le prove a sostegno del proprio esposto.

Gli avvocati Andrea Benigni e Andrea Caniato adottano da anni ormai tale metodologia difensiva, raccogliendo le prove utili per il proprio assistito, ascoltando testimoni, espletando sopralluoghi, incaricando investigatori privati e consulenti tecnici di comprovata esperienza nel campo informatico, di genetica forense, di tossicologia forense, di psicologia e psichiatria forense ed altre branche tecniche, utili alle miglior difesa del proprio assistito.

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